Emma Marrone in una lunga intervista a La Repubblica racconta di non essersi montata la testa, di condurre una vita normale e parla del forte legame che la unisce alla sua famiglia, che si è ulteriormente stretto durante il tumore che l’ha colpita quattro anni fa.
Abito a Vermicino, la casa è una comune con Francesca, la mia manager che mi segue sempre e mi vuole bene, mi sostiene. Faccio il bucato, cucino e c’è sempre un piatto pronto per chi viene. Non mi sono montata la testa, non è da me. Non ho dimenticato il mondo fuori: quando mi incontrano al supermercato le signore mi guardano. ‘Scusa, ma sei Emma? Fai la spesa tu?’. Certo che la faccio io, chi la deve fa’?.
La cantante salentina è orgogliosa di aiutare la sua famiglia:
Siamo uniti, non avevamo una lira, ma c’era amore. Mio fratello ora fa l’elettricista per una società di impianti. Quando ha perso il lavoro non si è chiuso a casa, accettava qualsiasi offerta: muratore, falegname. Per farcela ci vuole spirito di adattamento, si alza alle cinque di mattina ma è felice. Porta i soldi a casa. Come me. Io sono fiera di aiutare i miei genitori.
Emma non potrebbe essere più felice di essere riuscita a trasormare la passione per la musica nel suo lavoro:
Dopo il liceo mi sono messa subito a lavorare e ho fatto di tutto perché l’indipendenza economica è importante. A casa mia di soldi non c’erano ma io e mio padre abbiamo sempre avuto la passione per la musica, ho sempre cantato. Oggi che ho fatto della mia passione il mio lavoro sono la persona più contenta del mondo. Credevo in me ma nel mio talento credeva soprattutto mia nonna Donata, una donna speciale. Il mio amore. Se ce l’ho fatta è perché ho pensato a lei.
La Marrone parla del tumore che l’ha colpita e di quanto quello che gli è accaduto ha unito ancora di più la sua famiglia:
Quando a 25 anni ti dicono che hai il cancro e non c’è tempo da perdere in un letto d’ospedale capisci cosa vuol dire combattere per la vita. Cambia la scala di valori. Impari ad apprezzare le piccole cose, un gelato o a una serata in pizzeria. Ogni volta che ricorre il mio ‘anniversario di vita’ io lo chiamo così, penso al baratro in cui mi sono trovata. Ma è in questi momenti che devi tirare fuori le palle. Non faccio il fenomeno, all’inizio non è facile: vedere i tuoi genitori impotenti e fragili ti fa male, ti abitui al pensiero di non farcela, quando il dolore tocca picchi altissimi ti anestetizza. Poi ti fai forza anche per loro, io li rassicuravo, perché dentro di me sapevo che avrei vinto. La malattia crea un legame diverso in famiglia: o la fa esplodere o la rafforza. Noi siamo ancora più uniti.