Mandato in onda in vari Paesi del mondo, il format di Survivor è stato esportato dall’Inghilterra per approdare negli Stati Uniti nel 1992 con la prima edizione ambientata nel Borneo (Survivor: Borneo). Lo si può definire uno dei primi esperimenti (anche se in realtà non lo è del tutto visto il successo che ha avuto in Europa) per avvicinare il grande pubblico alla cosiddetta “reality television”.
Se pensate che vivere tra gli insetti e nutrirsi solamente di ciò che la natura offre valga la pena per aggiudicarsi il premio finale (di ben un milione di dollari!) allora state per assistere al reality show adatto per i vostri gusti. Ma dato che le critiche vanno sempre di pari passo con il successo di ascolti che il format ha riscosso in vari paesi oltre agli Stati Uniti, non bisogna dimenticare che i concorrenti non vi partecipano solo per provare cosa significhi vivere nell‘indigenza, ma anche per guadagnare una somma di denaro pari ai giorni di permanenza sull’isola. Per non parlare degli sponsor e dell’automobile tra gli altri premi.
Per venti stagioni abbiamo guardato questi poverini (escludendo quegli istruttori con un naturale vantaggio del “corso di arrampicata sulle corde”) resistere a quel tempo da lupi, alle privazioni alimentari, ai ratti nei loro sacchi a pelo nel coraggioso tentativo di vincere una bella cifra. Ci sono troppe ricompense per i traditori e innumerevoli sfide per ottenere l’immunità per ricordarle tutte, quindi ci limiteremo a ricordare questo passaggio illuminante durante la sfida dell’acchiappa-la-bandiera in Micronesia, quando il mostruoso Joel (nella foto) afferra delicatamente Chet, lo alza e lo scaraventa dritto contro una trave di legno.
Il bello di questi programmi è che i personaggi che piacciono di più al pubblico, e quindi i più votati, possono tornare nelle stagioni successive per far valere la loro esperienza da veterani. Come dire che c’è sempre il fantasma di qualcuno, anche di scomodo che ritorna.