Nell’ambito dell’iniziativa Widg oggi vi proponiamo un’intervista a Davide Minnella, autore tv che negli anni ha lavorato, tra gli altri, a L’isola dei famosi (la quinta edizione), La talpa (la terza stagione) e Un, due, tre stalla. Con Minnella abbiamo fatto il punto della situazione sul rapporto tra reality e qualità tv, analizzando anche le differenze tra la diretta e il montaggio. Il giovane autore non ha sorvolato nemmeno sulla questione della chiusura ritardata della prima serata. Dopo il salto l’intervista integrale.
Come si fa a coniugare il reality e la qualità televisiva?
Dipende dal significato che uno dà alla parola “qualità”. Ci sono due accezioni particolari: la prima riguarda la “qualità del programma”, ovvero il modo in cui il programma è confezionato, la seconda, invece, riguarda la qualità del programma in termini di contenuti. Ci sono programmi che sono confezionati egregiamente, mi riferisco alla parte registica, scenografica, grafica, ecc…ma che sono fortemente deboli da un punto di vista contenutistico. Così come ci sono programmi di estrema qualità da un punto di vista dei contenuti ma debolissimi sul fronte opposto. Fare in modo che un reality show sia un programma di qualità non è affatto semplice. I motivi sono differenti. Quando si mette in piedi il cast di un reality normalmente si scelgono tipologie umane differenti e per certi aspetti estreme. Il reality ha una durata predeterminata e la necessità degli autori è quella di fare in modo che in quelle settimane ne accadano di tutti i colori. Mi spiego meglio. Nella vita di ognuno di noi, se prendiamo un lasso di tempo più o meno lungo, accadono un sacco di cose: c’è il giorno in cui ci innamoriamo, quello in cui litighiamo tremendamente con la nostra compagna, quello in cui facciamo assieme dei progetti di vita e quello in cui decidiamo di lasciarci perché ci siam resi conto di non essere fatti l’uno per l’altro. Così come c’è il giorno in cui decidiamo di fare baldoria con un amico, quello in cui condividiamo assieme le ansie relative al nostro futuro e quello in cui scazziamo perché entrambi ci siamo innamorati della stessa e identica donna e c’è anche il giorno in cui magari facciamo i conti con il nostro passato decidendo, magari, di discutere con i nostri genitori. Succede…il problema è che normalmente tutto questo accade in un lasso di tempo più o meno lungo…nel reality, invece, occorre far accadere una gran quantità di cose in un tot di settimane ed è inevitabile che per farle accadere si scelgano dei concorrenti “estremi”. E’ una scelta di comodo, me ne rendo conto; ed è probabilmente la scelta sbagliata che ha in qualche decretato l’insuccesso di questa edizione del GF. Con questo mi riallaccio alla tua domanda…: è molto complicato fare in modo che un reality abbia dei contenuti alti, nella misura in cui nel reality tu metti delle tipologie umane che stanno lì, forse, per tirar fuori il lato peggiore di sè. Il reality ti fa vivere all’interno di una realtà estrema, distorta, amplificata, dove tutto è portato all’eccesso…e l’eccesso, il più delle volte, ti spinge a fare delle cose che non avresti mai e poi mai fatto in una situazione di altro tipo. E’ inevitabile che tutto questo provochi una reazione di curiosità da parte dello spettatore. E’ come quando uno per strada incappa in due persone che litigano. Per quanto tu possa essere indaffarato vuoi capire cosa andrà a succedere da lì a poco tra quei due. Il fatto che decine di persone si siano interessate all’accaduto non vuol certo dire che quella situazione meriti l’interesse generale …né tantomeno che sia una “momento di qualità”…per il solo fatto di avere tanti e tanti spettatori. Quindi, per concludere, è molto complicato coniugare reality e qualità, perché quando uno prova a fare un reality scegliendo tipologie non estreme di concorrenti la critica che viene fatta è “avete sbagliato il cast”. E’ un cane che si morde la coda da solo: si sbaglia quando si scelgono tipologie di concorrenti un pò più anonimi e si sbaglia quando si scelgono tipologie di concorrenti troppo estremi.
Dunque l’idea che il genere reality possa escludere a prescindere la qualità è realistica o no?
Non credo. Dipende da che tipo di prodotto uno deve o vuole fare. Se la scelta è quella di soffermarsi un po’ di più sui contenuti, su persone realmente interessanti, allora è possibile. Ti faccio un esempio concreto. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un sacco di docufiction di vario tipo raccontate tutte attraverso le modalità tipiche del reality show. Mai nessuno si è permesso di dire che quelle docufiction non fossero di qualità…anzi!!! L’intento di una docufiction, pensaci bene, è identico a quello di un reality show: seguo dei personaggi che si muovono all’interno di un determinato contesto e provo a raccontare la loro quotidianità. Cosa vuol dire questo? Che tutto dipende da come uno racconta le cose e, soprattutto, da chi te le racconta. La battaglia che noi autori dovremmo fare rispetto ai concorrenti dei reality è quella di non inseguire un punto o in più di share andando alla ricerca di personaggi estremi, di fenomeni da baraccone che non hanno un bel niente da dire…ma dovremmo cercare concorrenti che mettano in moto dinamiche più interessanti. Tutto questo è complicatissimo. Dopo anni e anni di reality, tutti coloro che partecipano ad un reality show hanno una piena consapevolezza di sé:sanno come verrà raccontata la loro storia e sanno come rapportarsi con la telecamera. E’ per questo che noi non dovremmo inseguire delle scelte di comodo…dovremmo riuscire a sbaragliarli, a dar loro meno certezze…per far questo occorre scegliere delle tipologie umane differenti e sforzarsi di raccontare quelle storie in un modo fuori dal comune.
Questo coraggio fino a questo momento non c’è stato in Italia?
In realtà ci sono stati dei tentativi di scegliere dei personaggi più interessanti ma sempre meno tentativi di raccontare quelle storie in maniera differente.
Per esempio?
Inserire Cecchi Paone all’Isola all’epoca fu una scelta coraggiosa. Lui era un personaggio che aveva criticato aspramente il mondo dei reality show e, in quell’edizione dell’isola, offrì agli spettatori qualcosa di interessante.E’ chiaro che non si possono inserire 10 Cecchi Paone, però forse bisognerebbe trovare un compromesso tra personaggi che hanno qualcosa da dire e personaggi che la buttano più in caciara. Il problema è, come ti dicevo prima, che per rincorrere ascolti e risultati nell’immediato, si tende a scegliere dei fenomeni da baraccone.
Quello che manda ad oggi, dunque, è la richiesta di qualcosa di diverso da parte dei network, che sono alla ricerca di ascolti?
Sì, ormai di reality se ne sono fatti tantissimi. Tu sai che quando esci dalla casa del Grande Fratello ti accade questo, quello e quest’altro. La sfida per i prossimi reality è dunque quella di scegliere personaggi che hanno aspettative differenti nei confronti del reality…ma soprattutto quella di cambiarne la scrittura, la narrazione. Tu leggeresti mai lo stesso e identico libro per dieci anni di seguito? Vedresti mai lo stesso film per un intero anno? Avrò visto determinati film quindici volte, ma solo perché si trattava realmente di capolavori. E dato che i reality non son certo dei capolavori occorre cambiare le regole, raccontare le storie in maniera differente. Ci vuole coraggio ma soprattutto ci vogliono le capacità
Oltre all’aspetto del cast, quali sono le strade percorribili negli altri settori?
Ti ripeto…sicuramente proverei a raccontare in maniera differente le varie storie, eviterei i soliti chichè narrativi tipici del reality show e mi soffermerei su altre dinamiche…poi farei in modo che la prima serata finisse prima. In tutto il mondo le puntate dei reality durano 50 minuti e sono montate…da noi, invece, continuano a durarne tre e, in alcuni casi, anche più. Allungare il brodo per così tanto tempo è una cosa assurda e si finisce, inevitabilmente, per sporcare la narrazione con argomenti di cui importa ben poco a tutti. Riguardo al montaggio, invece, credo che da quest’anno grazie ad X Factor e Italia’s Got Talent le cose cambieranno. Il montaggio ti dà la possibilità di soffermarti sulla narrazione, di eliminare le inevitabili sporcature di una diretta e di costruire una struttura narrativa degna di nota.
Dunque la diretta è ormai anacronistica?
E’ inevitabile che sia anacronistica. Perché è affascinante guardare un reality show? Semplicemente perché assisto ad un montaggio alternato di un’ azione che vede protagonisti due o più concorrenti (la parte live) e poi mi godo il commento a quell’azione attraverso il confessionale. E’ una formula che funziona: vedo l’azione tra due persone e la interrompo con il commento a quell’azione. E ciò ti dà ritmo. L’introduzione di una parte in studio ha avvantaggiato ulteriormente la narrazione poiché attraverso la mediazione del conduttore si ha la possibilità di commentare in tempo reale con i concorrenti ciò che han fatto durante la settimana. Montandolo e confezionandolo come si deve ne guadagneremmo un po’ tutti. Gli spettatori assisterebbero ad uno show più ritmato, senza sporcature e realmente interessante. Penso ad IGT: in quel caso si è deciso di girare un bel po’ di esibizioni, di farle commentare in studio dai tre giurati e poi al montaggio è stata costruita la struttura della prima serata e i risultati sono stati eccezionali.
Quindi ritmo significa qualità…
Direi proprio di sì.
Tu hai lavorato come autore a La talpa 3. Che giudizio dai a quell’esperienza? E, nel caso di quel reality, che parte da un concept assolutamente suggestivo (cioè un concorrente che va contro gli altri all’insaputa di tutti), ci sono stati eccessi, c’è stata una degenerazione?
In quell’edizione non credo si sia molto degenerato; andava in onda su una rete che aveva la possibilità di spingersi un po’ oltre nei contenuti. Probabilmente alcune cose in un’altra rete non sarebbero mai andate in onda. Ricordo Filippo Bisciglia che andò a riprendersi la fidanzata (Pamela Camassa), un colpo di scena che tenne incollati gli spettatori sino a mezzanotte e quaranta…ma non ricordo eccessi o episodi che ci sono scappati di mano…La prima edizione, forse, fu criticata molto di più per via dell’episodio degli occhi di bue…ma in pochissimi si soffermarono sul fatto che si trattava di un vero e proprio rito tribale…e probabilmente ai tanti detrattori dei reality non avrebbe mai e poi mai fatto schifo se l’avessero visto all’interno di un documentario del National Geographic. Vedi che avevo ragione? Dipende da come uno racconta le cose e da chi te le racconta.