Widg – Reality e qualità. Sergio Colabona: “Grande Fratello in onda da 12 anni, 30 puntate all’anno, non può esserci qualità”

In occasione dell’iniziativa Widg (Web Indice Di Gradimento), tra i cui promotori ci siamo anche noi di Mondoreality, abbiamo intervistato Sergio Colabona, regista del Grande Fratello 12. Con lui abbiamo parlato di qualità televisiva, con particolare riferimento al genere del reality. Ne è emerso un quadro realistico delle difficoltà di far coesistere quantità e qualità nel piccolo schermo.

Come si fa a coniugare il reality e la qualità televisiva?

(ride, Ndr) Facendo un reality che non scenda nel trash, che è un qualcosa di soggettivo. Se per qualità televisiva si intende una televisione non volgare e che abbia anche fini educativi il reality potrebbe farlo, ma non lo fa quasi mai. Potrebbe farlo se decidesse di fare buoni ascolti senza mostrare belle gambe o gente che vomita insulti addosso agli altri.

Dunque il genere reality può essere sinonimo di qualità o la esclude a prescindere?

Ci sono stati nel mondo reality che non erano trash. Il problema è che il genere reality implica un bel movimento di soldi. E i soldi vogliono ascolti; e gli ascolti facili si hanno mostrando due chiappe e un seno e qualche litigata.

Dal punto di vista prettamente di regia come si riesce a realizzare un programma, un reality, di qualità?

Innanzitutto il cast e la finalità del programma. La finalità di un reality dovrebbe essere quella di formare un nuovo professore universitario; questo potrebbe essere l’oggetto di un reality di qualità. Però i media, i broadcaster non lo chiedono… Lo stesso Grande Fratello però all’inizio era l’esempio di una televisione nuova: era un esperimento socio-psicologico. L’idea nacque guardando un esperimento che fece la Nasa nel deserto dell’Arizona quando misero 12 scienziati in una cupola di vetro a vivere per un anno per vedere i comportamenti sociologici e psicologici che avrebbe portato la convivenza coatta in vista di una ipotetica missione per la colonizzazione di Marte. In Italia qualcosa era già stato fatto con Minoli e il reality Davvero. John De Mol riprese l’idea e rubò il format delle nomination, perché questo è il format del Grande Fratello, da Survivor e nacque il Grande Fratello. Poi è chiaro, la consuetudine televisiva, il fatto che il GF è diventato non più di 10 puntate ma di 30, l’importanza economica che ha assunto nella televisione, tutto il giro di soldi, ha portato ad un logoramento di quell’idea. Insomma, il reality non è per forza sinonimo di brutta o becera televisione. Purtroppo ci sono reality che vengono declinati diversamente: anche noi Grande Fratello qualche volta cadiamo nel trash.

Ma noi, per esempio, nel nostro piccolo, nel 2009 (la prima edizione di Colabona, Ndr) mettemmo dentro un ragazzo gitano, albanese, che veniva da una tribù zingara e vinse (il riferimento è a Ferdi Berisa); quello, forse, tra tutto il ciarpame, se vai a vedere, è stato il segno di un’Italia multietnica, accogliente che non è razzista come si poteva pensare.

Lei asserisce che nel reality c’è del ciarpame per un obiettivo di ascolti a breve termine. Per vedere la qualità, dunque, bisogna andare oltre il ciarpame?

Io non penso che attualmente il Grande Fratello o L’Isola dei famosi, che non vedo ma so qualcosa, si prefiggano come obiettivo principale la qualità. Anche noi stessi, perché fare 25 puntate, come faremo, di alta qualità è difficile. Uno potrebbe fare qualità se ha qualcosa da dire o da proporre; Fiorello per esempio si permette di fare una televisione, diciamo, di qualità andando in tv una volta ogni 7 anni. Noi andiamo in onda da 12 anni, 30 puntate all’anno. Tu capisci che la qualità non può esserci.

Per quanto riguarda la parola ciarpame. E’ chiaro, in un calderone in onda 24 ore su 24 tutti i giorni, facciamo tante puntate, qualche volta abbiamo sbagliato e siamo caduti nel ciarpame televisivo. Ma oggi non è difficile: fai tanto prodotto e devi riempire il palinsesto. E qualche volta abbiamo sbagliato di grosso anche noi. Molte volte, dovendo andare sempre in onda, non è detto che abbiamo qualcosa da mandare in onda di bello, di alto e quindi mandiamo in onda anche noi qualcosa che non è televisivamente molto alto. La cosa più semplice è riprendere due che litigano.

Il problema dunque non è solo economico ma anche quantitativo…

Il Grande Fratello lo fanno anche i concorrenti. Poi appena finisci una stagione devi pensare già all’altro. C’è stato poco tempo tra un’edizione ed un’altra. Poi avremo commesso alcuni sbagli, tanti,  però non c’era tutta ‘sta possibilità… ripeto, se Fiorello si prende 7 anni fa una scelta, noi molte volte non possiamo scegliere.

Fare televisione quotidianamente cercando di inseguire la qualità è possibile? Si possono far coesistere quantità e qualità?

E’ difficile, non lo so. Molte volte ci riesci più per caso che per effettivo merito. E’ chiaro che La Vita in diretta, faccio il nome di un programma, quando scoppia il caso di Avetrana sta lì a inzuppare il pane nel latte. E forse quella non è proprio una tv di alta qualità. Io penso che la quotidianità e la frequenza vada a deperire la qualità del prodotto.  Non hai nemmeno possibilità di pensare. Finisci una puntata e già devi chiudere quella del giorno dopo. Qualcuno qualche volta ci riesce ma io penso che la televisione è anche quotidianità, è anche far lavorare tanta gente, ci sono interessi economici. Non ti nascondo che noi avremmo voluto molta più pausa tra una edizione e un’altra, ma erano già stati firmati i contratti. Quando la macchina si mette in moto è difficile… Poi speri nel cast, ma non hai le sicurezze che hai quando c’è più tempo. Dopo un mese di vacanza, sei già in corsa, devi già pensare alla nuova casa, i provini: il Grande Fratello è un programma molto faticoso. Tutto questo ti porta a commettere errori. E sicuramente la qualità non te la porta.

Se un bambino le chiedesse quale è la tv che lei vorrebbe, cosa risponderebbe?

Secondo me il bambino dovrebbe farsela lui la tv. La tv che guardo io è fatta di talk show politici, di telegiornali, di programmi di intrattenimento, di storia. Talvolta non li faccio perché sono molto faticosi da fare e poco remunerativi. Per avidità professionale preferisco fare uno show: quello della Clerici con i bambini (Ti lascio una canzone, Ndr) dove lavoravo di meno e guadagnavo molto di più. Penso che la tv è tanta, varia e non tutta brutta. Uno potrebbe scegliere di fare quello che gli pare. Io, voglio dire, non ho mai guardato Uomini e donne ma se uno vuole guardarlo è liberissimo di farlo.

Dell’edizione in corsa del Grande Fratello siete riusciti ad andare oltre il ciarpame di cui ha parlato prima?

Sparare sull’ultima edizione è facile. E’ stata un’edizione difficile, abbiamo avuto tanti problemi. Ciarpame? Io direi che forse ci siamo concentrati troppo, dato che gli ascolti non decollavano, sui conflitti all’interno della Casa. Potevamo sviluppare altri temi. Ma ripeto ai tuoi lettori: quando hai una macchina così grande in corsa e hai tante pressioni, giustificate dagli investimenti, è difficile cercare di correggere. Non mi ricordo momenti esaltanti di questo Grande Fratello, ma nemmeno bassissimi.

 

2 commenti su “Widg – Reality e qualità. Sergio Colabona: “Grande Fratello in onda da 12 anni, 30 puntate all’anno, non può esserci qualità””

  1. Persona molto onesta. Complimenti. Concordo con lui. Mi ricordo benissimo che lo scorso anno (oggi esaltato) era molto criticato durante lo svolgimento.
    Comunque secondo me il problema rimane uno: i concorrenti non sono più presi tra la gente normale ma tra gente già abituata ai riflettori (dscoteche, sfilate, villaggi vacanze etc). Tutto ciò porta nella casa gente con già delle pretese e sotto sotto già un po’ abituati a recitare una parte, sia essa da innamorato, littigioso, ladro, e così via. Lo scorso anno e quest’anno, però, hanno preso troppa gente così ed ecco i risultati.
    Vedremo se nel GF 13 (che penso proprio si farà) se gli autori avranno il coraggio di stravolgere davvero il programma e dare nuova linfa e nuove idee ad un format ormai stantio e incapace di reagire alla concorrenza.

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